Recensione
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"È la mente il nostro luogo, ed essa può fare del paradiso un inferno."
Dio di illusioni è un romanzo intenso, crudo ed evocativamente sublime. La storia ruota attorno a sei studenti del Vermont e un omicidio. Sappiamo fin da subito chi morirà, ma nonostante un prologo così schietto non mancheranno i colpi di scena fin l'ultima pagina.
"Qualsiasi azione nella pienezza del tempo, sprofonda nel nulla."
Cinque giovani ricchi e viziati, un eccentrico professore di greco antico, alcol e droghe sono il ciclone che investirà il nostro protagonista, Richiard Papen e lo scaraventerà nel girone più scuro, ma anche più vivo, della sua grigia esistenza.Le ambientazioni cupe e quasi oniriche rendono le descrizioni un tripudio di profondità ed immedesimazione nella realtà che stiamo leggendo. Ho amato le descrizioni all'interno della storia come questo passaggio:
"Stavamo bevendo il tè, sotto la calda luce che inondava l'appartamento, immobile e raccolto. Talvolta a letto, nei miei abissi di desiderio, le scene che sognavo cominciavano spesso come questa, noi due soli, sonnolenti e un po' ebbri, situazioni in cui lei mi sfiorava come per caso, o si chinava molto vicina a me, quasi gota contro gota, per indicarmi un passaggio sulla pagina di un libro: occasioni che avrei voluto cogliere, gentilmente ma virilmente, quale esordio di più violenti piaceri."
Si nota subito la profondità del momento, dalla luce della stanza ai termini utilizzati per incantare il lettore.I personaggi sono ben caratterizzati, ognuno ha i propri drammi, punti a favore e a sfavore ma nonostante tutto riusciranno a sconvolgere il lettore anche nelle ultime 100 pagine, perché non si finisce mai di conoscere una persona.
"Possedeva infatti lo straordinario talento di rendersi invisibile e forse tale dono era solo l'inverso dell'altro."
Il libro viene suddiviso in due parti e la prima è quella che mi è piaciuta di più. Tutto quello che ha portato alla morte di Bunny risulta un miscuglio di situazioni concatenanti, problemi personali e una smisurata "devozione" se possiamo definirla così, a chi alla fine risulta essere un normale essere umano che può sbagliare e pensare prima alla sua persona che agli altri. La seconda è tutta incentrata dopo la sua morte, a come influenzerà gli amici, la famiglia e il college stesso. Qui è dove avrei sperato in qualcosa in più sul professore Richard, uomo brillante e misterioso che Donna Tartt riesce a elevare ad un piano superiore anche all'umano in certi attimi, tanto da suscitarmi interesse fino alla fine.
"Era uno dei motivi per cui gli volevo bene: per la luce lusinghiera in cui mi vedeva, per la persona che diventavo insieme a lui, per quello che lui mi ha permesso di essere."
La storia ruota intorno alla morte, ma anche alla vita, alla filosofia, all'amicizia e per finire all'amore. È la vita di ragazzi che superano i confini e si ritrovano in ingestibili situazioni.Lo stile è molto particolare e ricercato (vedi l'utilizzo di termini come "gote"). Un iridescente e profondo filone quasi mistico che accompagna le descrizioni dei luoghi, dei personaggi e degli avvenimenti stessi. (Mi ha ricordato un po' la Morgenstern).
"Non facevo nulla di male, eppure mi sembrava di compiere un sotterfugio, di vivere una vita segreta che, per piacevole che fosse, prima o poi avrei scontato."
"Perché pensavo troppo, vivevo troppo con il cervello. Era difficile prendere delle decisioni, mi sentivo immobilizzato."
Il messaggio che ho colto è che dentro ognuno di noi vive una parte buia che permetterebbe a chiunque di fare azioni di grosso impatto negativo, ma anche che nonostante tutto rimarrà sempre una parte più "buona". Sensi di colpa, attacchi di panico o il solo vivere ansiosamente sono cose con cui convivere poi.Lo consiglio a chi ama una scrittura ricca di profondità, termini di spessore e una nota mistica, a chi ama i thriller psicologici e il dualismo dell'io.
"È una cosa terribile imparare da bambini che si è un essere separato dal resto del mondo."
"Volevo dire qualcosa di profondo, ma mi trovai incapace di proferir parola."